giovedì 2 agosto 2012

Le strade del Tour de France, 1^ parte: Alpe d'Huez, il mito della "Salita".


A tutta sul terzo tornante, dedicato a Pantani.








partenza da Borg d'Oisans ( mattina presto)















il plastico della Salita
Sulle strade di Marco Pantani e del Tour de France e nel mese di luglio, quando nel 1998, il Pirata vinse il Tour de France, dopo avere conquistato anche il Giro d’Italia, realizzando un impresa, riuscita solo ad un altro grande campione italiano, Fausto Coppi; quando il campione romagnolo vinse in modo straordinario, nel luglio del 1995 e nel 1997 sull’Alpe d’Huez, quella che chiamano la “Salita” o la “Mythique”.
Il progetto è nato, qualche anno fa, per rivivere quelle “Emozioni” che Pantani ha saputo dare ai suoi tifosi e in genere a coloro che amano il ciclismo e lo sport, ma questa volta, in presa diretta, sulle prestigiose strade del Tour de France.
Mi piace pensare ai cartelli che indicano il secondo e il terzo tornante della salita dell’Alpe d’Huez, dedicati a Marco Pantani. Intorno al palo del terzo cartello, c’è un pupazzo di colore rosa, che si tiene aggrappato, in un abbraccio; un abbraccio che un tifoso del Pirata, ha voluto idealmente donargli. Ed è l’unico cartello ad averlo, tra quelli che si trovano lungo i 21 tornanti, dedicati ad alcuni dei vincitori, in vita o scomparsi, della mitica tappa del Tour che terminava sull’ Alpe d’Huez.
Per pedalare sull’Alpe d’Huez bisogna essere fondamentalmente coraggiosi ed incoscienti. Ho visto molti ciclisti salire, facendo zig zag sulla salita; altri andare su, senza guardare più la strada, appoggiando la testa sulle braccia distese sul manubrio; altri fermi a bordo strada con le mani tra i capelli; altri ancora, salire a piedi, stremati, spingendo la bici con le mani; qualcuno invece è stato soccorso dall’ambulanza per malori o per incidenti; qualcuno infine ha pedalato nelle ore serali con la luce del giorno tramontata. Insomma sull’Alpe d’Huez c’è un campo di battaglia. Vedere per credere.
Non ci sono parole per descrivere le emozioni che ho avuto pedalando, da solo, in una mattina di luglio, sull’Alpe d’Huez. Mentre pedalavo, avevo nella mente, le immagini di Pantani che andava a tutta, sulla “ Salita”; il Pirata era passato di lì e aveva conquistato un sogno. E quel giorno lo avrei realizzato anche io.
La lunga e fredda ( 11° gradi circa) discesa, molto tecnica, piena di tornanti e con qualche ciclista che scendeva con i freni tirati, mi hanno preparato all’inferno. Avevo il desiderio di iniziare al più presto a salire; sembrava quasi che il tempo fosse rimasto sospeso, mentre scendevo a tutta, i 21 tornanti. La velocità era tale, che è stato molto difficile pedalare, come invece avrei voluto, per riscaldarmi le gambe. Tant’è che mi è sembrato di essere arrivato come un lampo giù, al punto di partenza, Borg d’Oisans. Qui davanti all’ufficio del turismo, c’è la partenza ufficiale. Cronometro montato nell’auto in attesa, di scattare. Pronti, partenza e via. E’ stato un attimo. Le prime pedalate sono state molto forti. Sembrava di scaricare tutta la tensione accumulata nel tempo che ha preceduto quella agognata partenza: allenamenti, lavoro, viaggio. La spinta è stata forte e credo che non abbia mai smesso di farlo, anche sui tornanti. Mi sentivo un energia forte esplodermi dentro. E credo che sia esplosa completamente. Ricordo di avere pedalato a tutta, costantemente. Quello che contava era arrivare in cima al più presto. Lì dove sono posti il traguardo della cronoscalata e del Tour. Davanti a me, le spaventose rampe che a vederle non lasciano molto ottimismo, ma che alla fine non devi valutare, ma solo assalire, con quanto più ossigeno hai nei polmoni. Già l’ossigeno. Qui la VAM, a cui è tanto affezionato il mio amico Vecchia, deve fare i conti, con l’altitudine. Spingevo forte ma non avevo nei polmoni la quantità di ossigeno a cui ero abituato al livello zero del mare. Insomma sentivo che i muscoli mi chiedevano ossigeno, ma non lo trovavano . Il cuore batteva forte. Il respiro era diventato più corto e frequente. Non era la prima volta che pedalavo in altitudine; ma non avevo affrontato la “ salita”, come tutte le altre salite dure alpine che avevo fatto prima. Questa volta contava arrivare in cima al più presto. Superato il 6° tornante, quello dedicato a Bugno, ho mandato la catena giù di un dente, e ho rilanciato, ancora più forte. Sono arrivato al 3° tornate, il primo dei due dedicati a Pantani, credo in un tempo relativamente breve. L’estasi mi aveva completamente posseduto. E poi ecco il secondo tornante, ancora dedicato al Pirata. In salita il tempo si consuma in modo diverso; in salita il tempo scorre più lentamente. Non c’è la scia, non c’è la discesa, non c’è nulla, ci sei soltanto tu. E allora in salita, più che mai, tutto dipende da te. Devi imparare a gestirti. Quando ho visto il 1° tornante dedicato a Guerrini, ho capito che l’agonia, era giunta all’ultimo atto, e sarebbe accaduto nel tempo in cui avrei deciso o potuto di consumare. I 100 metri circa che segnano il passaggio al cartello che indicano i due km al traguardo del tour, sono quelli che ti dicono anche che devi spingere a tutta, in una volata finale, perché tra 200 metri circa, c’è il traguardo della cronoscalata. Mi alzo sui pedali e spingo più che posso e mi ricordo di averlo smesso di fare fino al primo traguardo che ha segnato un tempo di 1 ora, 5 minuti e 40 secondi. Prendo fiato, su un tratto di strada lungo circa 50 metri. Non mi ricordo quanto sia durato; ricordo solo che ho socchiuso gli occhi per un attimo e la semicurva mi portava sotto un breve tunnel, con la strada che incominciava a salire bruscamente. Sarà stata questa repentina percezione della difficoltà, mi sono subito alzato sui pedali e ho rincominciato a menare. Il pannello numero 0 dell’ultimo tornante, è il confine tra il dolore e la percezione di un iniziale ma tenue senso di benessere; in buona sostanza, il traguardo del tour è finalmente vicino. Una discesa di 100 metri, mi porta davanti ad una rotonda. Un attimo di indecisione, per non sbagliare la direzione, e via, la strada spiana un po’ e cerco di sfruttare la velocità presa con la discesa. Le gambe non sentivano più la catena. Spingono da sole. Il tempo di accorgermene e poco dopo mi ritrovo davanti ad una nuova rotonda. La percorro inserendo la bici nella traiettoria con una morbida e precisa curva; ora ecco l’ultimo atto della scena finale: la rampa del traguardo del Tour. Non ho più pensato; il mio istinto mi ha fatto spingere attingendo tutto quello che avevo dentro. Mi alzo ancora una volta sui pedali, impugno la curva nella presa bassa e spingo senza più guardare la strada. Ricordo solo le mie pedivelle lucide in carbonio e la scatola del movimento centrale, larga e possente, dure, ottime per ricevere una spinta sui pedali. Apro la bocca; ho la sensazione di non respirare più o almeno di non avere respirato tutto l’ossigeno necessario. Ascolto dalla strada qualcuno che mi grida: “ alè, alè” e un attimo dopo, istintivamente, quando sentivo il dolore alle gambe diventare insopportabile, ecco che alzo la testa: il traguardo del Tour era dietro di me. Lo avevo tagliato senza smettere di pedalare, sempre a mani basse sul manubrio e fuori sella. La volata finale è terminata. Ci sono attimi della vita che sembrano eterni e hanno una luce diversa. Tra questi ricorderò la luce forte del sole nel momento, in cui sull’Alpe d’Huez ho tagliato il traguardo del Tour.
Ora statemi a ruota che vi spiego qualcos’altro della “ Salita”. L’Alpe d’Huez è un “santuario” del ciclismo internazionale. Vi posso assicurare che ogni giorno ho visto passare tanti di quei ciclisti che non saprei quantificarli. Hanno calcolato che in media 400 ciclisti al giorno (principalmente francesi, tedeschi, olandesi, belgi, inglesi, danesi e australiani) provenienti da ogni parte della Terra, sfidano i 21 tornanti della “Salita”, che in alcuni tratti non scendono mai sotto il 10-12% e salgono lungo 14 km di ascensione con una pendenza media del 7,9 % e una pendenza massima del 14%, per un dislivello di 1100 metri !!! Il tempo buono di percorrenza indicato nella guida “Oisans 30 itineraires cyclo tourisme” ( disponibile solo in lingua inglese e francese), che si può ritirare gratuitamente presso il locale ufficio del turismo, è di 2 ore. E’ impossibile pedalare regolarmente; è assolutamente vietato non sapersi gestire perché altrimenti in cima non si arriva; si può anche cadere per la stanchezza. E’ una salita spaventosa, che mostra tutta la sua durezza, da subito, con rampe implacabili che si susseguono ad un ritmo infernale, senza un punto dove si possa effettivamente tirare il fiato. In pratica la “ Salita” la si fa in apnea. Non si può improvvisare l’ascesa; ci vuole un ottima preparazione. Diversamente scordatevi di arrivare in cima. Ho visto molti ciclisti pedalare ad una velocità prossima alla perdita di equilibrio. Ho visto altri che tiravano dritti. Ho visto donne, uomini e ragazzi, misurarsi con la “ Salita”. Ognuno con la sua sfida personale. E credetemi, una volta raggiunta la metà, si è pervasi da un entusiasmo incredibile; si sente il sapore dell’impresa e tale è. L’Alpe d’Huez non si dimentica. L’Alpe d’Huez si ama o si odia. Ma ciò dipenderà solo da noi. Sulla “Salita” si pedala ad ogni ora. Il primo ciclista che ho visto transitare è stato alle 7 circa; l’ultimo alle 21,40. Per la cronaca ne ho visto anche uno, che transitava alle 22 circa, ma era scortato da un auto e una moto!!! Dovete sapere, che qui, la luce solare dura più a lungo. Quindi potrete programmare il tutto, con calma. Il traffico e il sole, sconsigliano di farlo, nelle ore centrali. Non è una salita, ma la “Salita”, come la chiamano i francesi. Partenza da Bourg –d’Oisans, davanti all’ufficio locale del turismo. Per chi non soggiorna in zona, può utilizzare l’ampio parcheggio posto dopo la rotatoria centrale, che si incontra 200 metri dopo la partenza da Bourg d’Oisans. Esiste un'altra partenza che si trova a destra, ai piedi della “ Salita”, superato un campeggio. Ma so per certo che quello ufficiale è quello posto sotto la bandiera posizionata davanti all’ufficio del turismo del paese di Bourg d’Oisans. Potete usare la pista ciclabile che parte da quest’ultimo paese posto ai piedi dell’Alpe d’Huez. Arriva fino alla metà circa dell’ascesa. Nella zona si presta molta attenzione per i ciclisti. Strade in ottimo stato; segnali stradali che obbligano gli automobilisti a rispettare un limite di 1 metro e mezzo, in fase di sorpasso del ciclista; cartelli di richiamo a prestare attenzione ai ciclisti, perfino luminosi, posti anche all’inizio delle numerose gallerie, anche se spesso queste hanno una piccola strada laterale quasi sterrata che evita di passare all’interno. Gli automobilisti francesi non suonano mai ai ciclisti. Ma consiglio di usare le ciclabili, peraltro tenute molto bene e segnalate adeguatamente. Avevo letto che i primi 6 km della “ Salita” erano duri. Vi assicuro che è una indicazione sbagliata. Io dico che si pedala al limite, lungo tutti i 14 km dell’intera ascesa. Per intendere bene quella che è la difficoltà, anzi una delle difficoltà, bisogna capire cosa significa pedalare in altitudine. In altitudine, diciamo a partire dai 1300/1500 metri di altitudine, c’è una diminuzione della pressione atmosferica e si viene colti dal “male acuto di montagna” ovvero da una fatica anomala, dovuta alla ridotta quantità di ossigeno nel sangue con conseguente riduzione del rendimento della pedalata. Si è calcolato che sui 1860 metri dell’Alpe d’Huez la VO2 avrà una diminuzione tra il 3-8% rispetto a quella sviluppata a livello del mare !!! Sull’Everest la VO2 cala del 90% !!! Per fortuna che con il passare dei giorni il corpo gradualmente si abitua e migliora la capacità aerobica e del trasporto dell’ossigeno del sangue. Quindi consiglio di scalare l’Alpe d’Huez, solo dopo qualche giorno di adattamento all’alta quota. Altro problema: il recupero. Pedalare in alta quota rallenta il recupero della fatica. Per chi va a pane e acqua come me la cosa è estremamente delicata. Bisogna sapersi gestire ascoltando il proprio corpo. La “Salita” non puoi farla, se non ne conosci la sofferenza che rappresenta la sua natura perché non ti fa mai respirare. Lungo i suoi tornanti si soffre solo, si purifica l’anima e si esalta la capacità di reagire al dolore dei muscoli o più generalmente del corpo. Generalmente il ciclista che ama la salita e la montagna, è una persona che soffre per gioire, una sorta di asceta che migliora la propria condizione spirituale, attraverso la sofferenza dei muscoli.
E’ appena il caso di precisare che per scalare la “mitica” bisogna avere un ottima preparazione e usare i rapporti giusti: consiglio la compact, in particolare la 50/34, la sola guarnitura che consente di scalare tutte le dure ascese di montagna, con la corretta cadenza di pedalate, senza costringere le gambe a strappi continui e a maggiore sollecitazioni. In altre parole la guarnitura tradizionale, 53/39 usata in montagna non è la scelta corretta. Ultimo pignone necessario, il 27 o il 29. Consiglio di fare colazione almeno due ore prima dell’ascesa, e di bere molto, durante la salita; anche se la salita non consente mai di mollare lo sforzo, ricordarsi di bere, serve a scongiurare i crampi ed evitare di ridurre la risposta del corpo allo sforzo. Quando avvertirete un senso di secchezza nella bocca e avrete difficoltà di secrezione della saliva, allora sarà troppo tardi: i crampi staranno per arrivare.
I 21 tornanti sono segnati da pannelli dedicati ad alcuni dei ciclisti professionisti che hanno vinto la tappa del Tour con arrivo sull’Alpe d’Huez. Il primo è dedicato all’italiano Fausto Coppi ( in comunione con Lance Armstrong) perché è stato il primo a vincere la sfida con la “ Salita” nel 1952; l’ultimo invece è dedicato ad un altro italiano, Guerrini, nella celebre tappa che lo vide cadere per colpa di uno spettatore e rialzarsi subito per involarsi vittorioso verso il traguardo. I pannelli sembrano una sorta di ex voto per coloro che sono passati da qui verso la gloria. Se penso che il record della salita è di Marco Pantani, credo che per fare un tempo come il suo, bisogna essere molto più di un campione; bisogna essere un uomo che si esalta con la sofferenza, un uomo che ha caratteristiche fisiche e mentali fuori dal comune. In fondo Marco Pantani è stato un ciclista irripetibile, uno straordinario campione, dotato dal punto di visita fisico, che in salita si realizzava ed esaltava, come nessun altro. Solo istinto e forza. Per questo, durante la mia scalata della “Salita” pensavo a quando il Pirata rilanciava su quei micidiali tornanti, con il suo classico modo di pedalare fuori sella, in punta di piedi, impugnando la curva sulla presa bassa. Un mio amico italo-francese, che dal terrazzo di casa, lo vide passare nel 1997, mi ha detto: “sembrava un motorino” !!!!! In quei momenti il Pirata stava scrivendo una pagina della storia del ciclismo; il record dell’ascesa della “ Salita”, con un tempo di soli 37 minuti e 35 secondi, alla media stratosferica di 23,08 km/h ! La presenza del Pirata lungo i 21 tornanti la senti forte e ti sembra di vederlo scattare davanti a te, o di vederlo fermo, su un tornante, mentre sorride e ti invita a non mollare, perché nonostante tutto, la salita non fa male !
Ma la tappa dell’Alpe d’Huez non può che avere un fascino straordinario anche per la sua storia. Pensate che durante la tappa dell’edizione del 2004, c’erano 500.000 persone lungo la strada che portava in cima. Non c’è altro sport che richiama così tanta gente sulle strade, come il ciclismo.
La “Salita” ha due arrivi. Quello usato per il cronometraggio; quello ufficiale del Tour de France. Il percorso del Tour è visibile grazie a delle indicazioni stradali, poste come a quelle della fermata dell’autobus. Una volta giunti al traguardo del Tour, non attendetevi un finale all’altezza del prestigio della corsa a tappe più prestigiosa. Infatti si termina la scalata tagliando un traguardo anonimo; non vedrete il classico cartello con il nome della salita. Ma un cartello stile “metro” e che ci indica che si è arrivati dove taglia il traguardo il Tour, all’interno del paese dell’Alpe d’Huez. Nello stesso punto è installato anche un cartello di arrivo della cronoscalata. Insomma ufficialmente ci sono tre traguardi. Scegliete quello che volete.
Il manto stradale è in buono stato, anche se sconsiglio di pedalare costantemente lungo la pista ciclabile, perché in alcuni tratti può essere sporca di detriti e di piccoli sassi, segno del passaggio delle acque piovane, al fine di evitare una possibile foratura. Una nota dolente, l’eccessivo traffico di auto non permette di respirare a pieni polmoni, cosa già resa difficoltosa dall’altitudine. Troverete due fotografi negli ultimi tornati che vi scatteranno la foto; vi lasceranno un biglietto nel caso vorrete passare al loro negozio per acquistarle. Presso l’ufficio turistico dell’Alpe d’Huez potrete acquistare, al prezzo popolare di 1 €, il diploma per ricordare l’ascesa e il tempo di percorrenza. Un consiglio: non tagliate i tornanti potreste trovarvi nella corsa opposta e rischiare di scontrarvi con i veicoli a motore, ma anche con gli altri ciclisti provenienti dal senso opposto. Affrontate questa salita, come tutte le altre ascese alpine, con rispetto della montagna, pedalando con la mente. La montagna non perdona l’arroganza, ama l’umiltà e la pazienza. Come diceva Louison Bobet: “ La bici è una costante lezione di umiltà”.
Sull’Alpe d’Huez sono state scritte pagine gloriose del ciclismo, alcune personali come la mia, altre di altro blasone scritte dai campioni, che niente e nessuno potrà mai cancellare. Qui ho scritto un'altra pagina della mia vita.
Unica e magica Alpe d’Huez dove ho iniziato il mio pellegrinaggio verso le cime sacre che hanno visto il trionfo in terra francese di Marco Pantani. Un trionfo non solo dell’Italia, ma di tutti gli sportivi del mondo, che nelle gesta del campione romagnolo, si sono esaltati fino al punto di iniziare a pedalare indossando la famosa bandana. Non solo lui voglio ricordare. Qui ha vinto anche un altro campione italiano, anch’egli mitico e sfortunato, Fausto Coppi. Qui è possibile sentirne ancora il respiro forte, tra le urla dei tifosi. Ricordarli e rendergli omaggio. Non ho portato dei fiori, ma solo le gocce del mio sudore e i battiti del mio cuore, perché sull’altare dei campioni, si rende omaggio solo con il dolore. Per me Fausto e Marco pedalano ancora; basta alzare gli occhi al cielo nelle notti d’estate; ma può capitare anche di vederli, mentre si pedala in questi luoghi, come mi è capitato; li ho visti rallentare solo per un attimo, guardarmi negli occhi, ma non per sfidarmi, ma per sorridermi, prima di rilanciare la loro ineguagliabile ed impressionante andatura. Li ho visti passarmi davanti e salutarmi con un gesto sereno del viso. Li ho visti andare via, a tutta, verso le porte del paradiso. Il ciclismo è anche poesia.
La catena alpina, che si staglia intorno all’Alpe d’Huez, si presenta come uno scenario maestoso e di rara bellezza, una bellezza che sa di mistero; le alpi francesi, come quelle italiane, sono un dono divino per ricordarne la magnificenza e la forza. Pedalare su queste cime, verso il cielo, fino quasi a toccarlo con la mano, fa capire il senso delle cose e della vita. Pedalare verso il cielo. Appunto. La “ Salita” ha lasciato dentro di me, un qualcosa di unico: nostalgia, mistero, rispetto, amore, un ricordo di assoluta bellezza. Il ricordo della “ Salita” è più forte della continua pendenza e dei suoi perfetti tornanti che ammaliano e conquistano il cuore del ciclista. Dell’Alpe d’Huez ci si può innamorare.
Ecco i dati per chi non riesce a farne a meno: dislivello 1100 metri; pendenza massima 14%; pendenza media 7,9 %; stato del manto stradale, buono; lunghezza 14 km. Ma ricordatevi che in montagna, serve solo l’istinto e l’esperienza. Con il tempo si impara a scalare. In Francia il ciclismo è un cult. Qui pedalare è una cosa normale. I ciclisti francesi usano salutare, ma direi che lo fanno generalmente tutti i francesi; e lo fanno con un sorriso, con un “alè”; con un gesto della testa. Lo fanno uomini, donne e bambini. Tutti hanno la loro amata specialissima, che trattano con molta cura. Non ho visto una bici sporca. Tutte lucide. In molti casi non si tratta di bici costose e aggiornate. Credo che per i ciclisti francesi, ma anche per molti ciclisti stranieri, quello che conta è pedalare. La quasi totalità dei ciclisti che ho visto pedalare in loco, indossano abbigliamento della squadra sociale di appartenenza. In buona sostanza qui pedalare è la normalità. La Francia è una nazione evoluta anche dal punto di vista ciclistico. Tra Borg d’Oisans e Alpe d’Huez potrete trovare ben sei negozi a cui potrete rivolgervi per l’assistenza meccanica, per il noleggio e per l’acquisto, per la bici da strada, per la mountain bike e per VTT. Sull’Alpe d’Huez si dorme tranquillamente, ad ogni ora, e in paese c’è un clima di benessere e di tranquillità. Non c’è caos, la vita cittadina si svolge con discrezione e senso civico, anche se è molto frequentata e trafficata. Strade pulite, parcheggi, servizi e negozi di ogni genere. Non posso consigliarvi sui locali notturni, che ce ne sono, persino una discoteca; non ho fatto vita notturna. L’impegno sportivo richiede riposo. Internet illimitato è offerto dagli hotel, ai propri clienti, ma anche da molti locali al prezzo di un caffè o di una consumazione. La rete di copertura dei cellulari è ottima ovunque. Ad Alpe d’Huez si può fare sport a 360 gradi. Ci sono due piscine (una coperta), una pista di pattinaggio sul ghiaccio, un campo di calcio, un palazzetto dello sport , funivie, anche per la pratica del VTT. Insomma c’è tutto quello che serve per trascorrere una vacanza in relax e all’insegna dello sport. Un ultima annotazione. Il carburante per l’auto costa molto di meno che in Italia. Lo si può pagare anche 1380 € (diesel), in un supermercato a Borg d’Oisans.
Alpe d’Huez, 18 luglio 2012

Foto della Salita:


il cartello del primo km




























































1 commento:

  1. Oltre alle gesta avute sui "teatri" d'oltralpe oggi mi hai segnalato una frase che significa molto:
    Louison Bobet, “ Le vèlo est une lecon permanente d’humilitè”.
    (La bici è una costante lezione di umiltà)
    Sacrosante parole che più si avvicinano alla passione, al sacrificio e al sudore ciclistico!

    ciao!
    gennaro

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